28 febbraio 2009

Intervento al Congresso del Partito Radicale, Chianciano 28 febbraio 2009

Il congresso italiano del Partito Radicale è l’occasione ideale per riprendere il discorso sull’antiproibizionismo e sulle interconnessioni fra antiproibizionismo, nonviolenza, democrazia, e suscitare qualche riflessione sul tema delle azioni nonviolente come strumenti di partecipazione democratica diretta ed attiva.
Discorso vecchio, stancante, che viene ripetuto da generazioni di radicali fino dai tempi delle disobbedienze civili in tema di aborto. Il nodo centrale dell’iniziativa radicale era non certo quello di incentivare le donne ad abortire, bensì la riduzione di quella che era una piaga sociale, l’aborto clandestino, attraverso la legalizzazione, l’informazione, la comunicazione. Il tempo ha dimostrato le nostre ragioni. Le conseguenze peggiori della legge proibizionista che allora vigeva, e vorrei ricordare, perché non è passato un secolo, ma soli 35 anni, che le donne ricoverate in ospedale per le complicazioni degli aborti clandestini venivano piantonate dai carabinieri che ne attendevano la dimissione per portarle in galera fra gli insulti di tutti, le conseguenze peggiori le subiva chi non aveva i soldi per andare a interrompere la gravidanza a Londra, o in una delle numerose cliniche italiane compiacenti. Il proibizionismo, quindi, come strategia classista produttrice di diseguaglianza, privilegi ed eccezioni, anche in questo senso antidemocratico. L’antiproibizionismo come strategia di governo dei fenomeni sociali attraverso le armi nonviolente della comunicazione e dell’informazione, contrapposto ai metodi di regime, contrapposto a un potere autoritario e violento che non sa esprimersi se non attraverso la repressione.
Lo stesso potere che preferisce il persistere dell’ eutanasia clandestina e non regolamentata, affidata all’ arbitrio del giudice di competenza o dell’ azienda sanitaria di zona, o della parrocchia o dei parenti. I regimi autoritari hanno bisogno di conservare il potere con la paura e con le punizioni, con la repressione anche economica, con la limitazione dei diritti civili, con i privilegi e con le dinamiche di casta; una democrazia compiuta trova nel dibattito pubblico e nella libera informazione l’antidoto alla degenerazioni violente e alle crisi di sistema.
L’ involuzione partitocratica della democrazia italiana non garantisce una libera circolazione delle classi dirigenti, perché ne limita l’accesso ed è viziata da nepotismo, clientelismo e familismo amorale. Lo strumento legislativo parlamentare rimane appannaggio di una maggioranza consolidata di potere, trasversale allo schieramento politico, di una classe dirigente che si autoriproduce ormai da secoli.
Le teorie elitiste già dagli inizi del ‘900 hanno individuato il suffragio universale come necessario ma non sufficiente a garantire la democrazia; la democrazia rappresentativa finisce per selezionare una élite che non rappresenta affatto tutte le componenti della società bensì quelle già dominanti. Per questa ragione fu introdotto uno strumento per la correzione e il bilanciamento in favore della democrazia diretta, la seconda scheda, quella referendaria, strumento fortemente sostenuto e incentivato dai radicali, purtroppo svuotato e annullato. Svuotato di significato dagli inviti all’astensione, reso inattuabile dalle procedure estenuanti necessarie per proporlo, avvilito dalla mancata e corretta informazione, tradito più volte nei risultati. Quindi un doppio legame: da una parte l’antiproibizionismo come strategia di governo democratico dei fenomeni sociali proposto in alternativa ai metodi proibizionistici violenti propri dei regimi autoritari, dall’altra la nonviolenza e le disobbedienze civili come forme di partecipazione diretta del cittadino al perfezionamento della democrazia.
Per questo le iniziative parlamentari radicali antiproibizioniste su aborto, droga e prostituzione, portate avanti dai radicali negli ultimi 40 anni, hanno sempre avuto bisogno del sostegno della nonviolenza nelle forme di obiezione di coscienza, disobbedienze civili, digiuni, per riuscire ad ottenere significativi ma parziali, e spesso non attuati, risultati.
L’antiproibizionismo e le armi nonviolente della informazione e della comunicazione, la libera circolazione delle idee, delle élites, delle merci e delle persone possono tracciare una via di uscita e un antidoto alla violenza e all’integralismo che ci travolge.
E’ cosa detta e ridetta, fra noi, che la strategia proibizionista e autoritaria è una strategia fallimentare e criminale, che produce enormi indotti di interessi e di denaro, gran parte “al nero”, e dirige in senso distruttivo e non democratico, ingenti risorse. Ma oggi non siamo soltanto noi a dirlo, e non è un problema solo italiano.
Una notizia di pochi giorni fa, riportata dal Pais: gli ex presidenti del Brasile, Cardoso, del Messico, Zadillo, e della Colombia, Gaviria, hanno chiesto, l'11 febbraio a Rio de Janeiro, la depenalizzazione della marijuana per uso personale, e al contempo hanno sollecitato un "cambio di strategia" nella lotta alle droghe.
L'intervento dei tre ex presidenti, ha avuto luogo durante la riunione della terza e ultima sessione della Commissione Latinoamericana su Droghe e Democrazia, dove tutti hanno insistito sulla necessita' di dare un taglio ai pregiudizi e alle paure che hanno sempre accompagnato il problema della lotta alle droghe senza mai raggiungere posizioni concrete ed efficaci.
Il documento finale, firmato da tutti i partecipanti, chiede che si rompa il silenzio sulle droghe, che si abbandoni il tabu' e che si apra il dibattito in tutto il mondo. "La violenza e il crimine organizzato legato al traffico delle droghe costituiscono uno dei problemi piu' gravi dell'America Latina", "di fronte a una situazione che si deteriora ogni giorno con altissimi costi umani e sociali, e' un imperativo rettificare le strategie della guerra alle droghe adottate nella regione negli ultimi 30 anni", sostiene il testo.
Convinti che la depenalizzazione dell'uso personale di marijuana potra' essere condotta con efficacia solo a livello mondiale, gli ex presidenti Cardoso, Gaviria e Zedillo si rivolgono non solo ai responsabili dei loro rispettivi Paesi, bensi' anche a tutti i Governi dell'America Latina e a quelli di Usa e Unione Europea.
La commissione ha lavorato per un anno intero, raccogliendo materiale sull'argomento della depenalizzazione della marijuana in tutta l'America Latina, e il risultato e' che quanto si e' fatto per combattere la droga e' stato "inefficace e negativo", con un bilancio di morti e un enorme dispendio di denaro senza che sia cambiato nulla.
In realtà il mercato delle droghe illegali è saldamente organizzato a livello mondiale e ben poco sfugge ad un ferreo controllo centralizzato.
Anche la proliferazione di sostanze di sintesi risente delle politiche proibizioniste; la ricerca è clandestina, incontrollata, tesa alla creazione di molecole più “efficaci” e meno rilevabili, senza alcuna attenzione alla qualità e agli effetti nocivi.
Per la canapa, le modifiche genetiche operate su piante di canapa allo scopo di elevarne il contenuto in thc sono avvenute fuori da ogni controllo; alla fine, nessuno sa esattamente che cosa compra.
E’ ovvio, ma non per tutti, e per questo va ripetuto, che il fenomeno da governare è l’abuso e la dipendenza, non l’uso personale di droghe leggere e pesanti; la distinzione tra uso e abuso non viene sottolineata, mentre è fondamentale; non si può parlare di tossicodipendenza in presenza di un uso saltuario di farmaci o di droghe che dir si voglia, d’ altra parte l’abuso e la dipendenza da qualsiasi sostanza, è una malattia che produce seri danni economici e sociali. Nel caso delle sostanze illegali a questi danni si aggiunge quello rappresentato dai proventi delle attività illecite, che escono dalla contabilità ufficiale e vanno ad accrescere i flussi neri di denaro che in alcuni periodi e paesi superano i flussi legali. E tutto l’indotto del proibizionismo, sotto forma di spese per la persecuzione dei reati, per le spese processuali e i costi della carcerazione e per le cosiddette comunità di recupero, mondo non privo di ombre inquietanti. Si aggiunge anche la difficoltà di monitorare sia i prodotti commerciati che la distribuzione; per esempio, non c’è controllo né sui pesticidi usati per le coltivazioni né sui tagli operati (la cocaina venduta in europa è pura in media al 45%); lo stesso discorso vale per il doping, dove laboratori semiclandestini producono barattoli di sostanze dubbie vendute poi sottobanco; nel caso della canapa, poi, per parlare solo di un particolare caso nella casistica ben più ampia delle follie proibizioniste, siamo arrivati alla aberrazione della violazione dei diritti dei malati che non hanno effettivo accesso in Italia ai farmaci derivati della canapa, alla violazione del diritto del cittadino ammalato o no alla libera determinazione dei propri comportamenti privati, nell’impedimento alla coltivazione domestica anche di una sola pianta di canapa, anche a malati con prescrizione medica.
Questo inverno, a Venezia, i Carabinieri sono entrati in casa di un professore in pensione di 66 anni e di sua moglie, 58 anni, malata di distrofia muscolare da 30 anni, invalida in seggiola a rotelle; lì i militi hanno rinvenuto, e sequestrato, 42 piante di canapa coltivate in 16 vasi. La signora ha dichiarato di usare da sei anni la canapa per i suoi effetti miorilassanti e analgesici; del fatto sono informati i medici che la seguono.La signora ha dichiarato: "O mi cercherò uno spacciatore oppure sarò costretta ad aumentare i dosaggi di farmaci, che mi danno effetti collaterali".
Nel verbale si legge che le sanzioni previste potranno essere sospese "qualora l'interessato richieda di essere avviato a un programma di recupero". "Magari ci fosse un programma di recupero per la mia malattia", ha commentato la signora.
Il risultato di tanto accanimento è che, secondo il rapporto annuale dell'Organismo internazionale di controllo degli stupefacenti delle Nazioni unite, presentato una settimana fa, l’Italia è il paese europeo in cui il consumo di cannabis è più elevato.
Dalla prima disobbedienza civile italiana in tema di droghe, nel 1975, ad opera di Marco Pannella, sono passati 34 anni, ed abbiamo visto anche la vittoria di un referendum che decretò la non punibilità dell’uso personale, referendum fra i tanti traditi.
E non è un regime questo che infrange per primo le sue stesse regole?
Un regime, come sta scritto giustamente alle mie spalle, infame.
Un regime che baratta da anni tra sé e sé la vita e la libertà dei cittadini.
Dove non siamo di scegliere né come vivere né come morire.
Un regime contro il quale noi radicali transnazionali siamo l’unica alternativa possibile. Per i diritti individuali, per la libertà di scelta, per la democrazia liberale.

Vivano gli antiproibizionisti radicali nonviolenti
viva Marco Pannella

20 febbraio 2009

VII CONGRESSO ITALIANO DEL PARTITO RADICALE NONVIOLENTO TRANSNAZIONALE

legalità, democrazia, nonviolenza, ecologia, maggioritario, riforma, concilio vaticano II, pannella, bonino, veltroni, partito radicale nonviolento, chianciano, toscana


27 28 febbraio 1 marzo 2009 Chianciano
www.radicalparty.org

3 febbraio 2009

PERCHE' DIMENTICARE?



Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.

Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.

Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di golpes, sia i neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia, infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.

Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969), e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).

Io so i nomi del gruppo di potenti che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci e della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il 1968, e, in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del referendum.

Io so i nomi di coloro che, tra una messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neofascisti, anzi neonazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine ai criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista).

Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi bruciavano), o a dei personaggi grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli. Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killers e sicari.

Io so tutti questi nomi e so tutti questi fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.

Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.

Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che rimette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere.

Credo che sia difficile che il "progetto di romanzo" sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il 1968 non è poi così difficile...

Pier Paolo Pasolini

Dal "Corriere della sera" del 14 novembre 1974 col titolo "Che cos'è questo golpe?"