29 settembre 2011

Morto di canapa e di carcere; un caso rappresentativo della giustizia italiana.

Mercoledì, 28 settembre, si è svolta la terza udienza del processo contro un agente penitenziario accusato di omissione di soccorso e falsificazione di registro, in merito alla morte in carcere di Aldo Bianzino, arrestato per coltivazione domestica di canapa e morto nelle 48 ore dopo l'arresto. Il principale processo, per omicidio colposo a carico di ignoti, è stato archiviato alla faccia dell'evidenza.
L' imputazione che ha portato in carcere Bianzino, come un criminale, il trattamento che ha subito, la vergognosa vicenda giudiziaria, che sfida il diritto e la democrazia, ne fanno un caso rappresentativo della realtà giudiziaria italiana. Il processo principale è stato archiviato, resta in piedi questo, prossima udienza il 18 novembre.
In questo caso si parla spesso e giustamente della barbarie esercitata su tutta la famiglia di Aldo Bianzino; ma se anche non avessero lasciato Rudra quattordicenne solo con la nonna di 92 anni, portandosi via tutti e due i genitori, per delle piante di canapa, se anche avessero annunciato la morte di Bianzino alla moglie in maniera diversa da come l'hanno fatto, e più civile, ci voleva poco, "Signora, suo marito lo può vedere martedì, dopo l'autopsia", se anche la moglie non fosse morta l'anno dopo di tumore e di strazio, e finanche se gli altri detenuti non avessero sentito i lamenti e le richieste di aiuto fino dalla mezzanotte, e non avessero sentito l'agente rispondere "Non rompere, il dottore domattina", resterebbe il fatto che un uomo di 44 anni è entrato in carcere, in buona salute, perchè aveva nel campo delle piante di canapa, ed è uscito cadavere straziato nel giro di 48 ore (con i consueti referti delle morti naturali in carcere, dove per rianimarti ti rompono quattro costole e ti fanno scoppiare fegato e cervello); e che i rimaneggiamenti processuali, simili a tanti altri in simili processi che vedono imputate le istituzioni, sono incompatibili con la giustizia uguale per tutti che, se non sbaglio, in Italia così si definisce.
Due giorni prima dell'udienza, ma se ne è data notizia a udienza teminata, ci sono state minacce, intimidazione ed aggressione nei confronti dell' avvocato della famiglia di Aldo Bianzino, e della sua segretaria; le "cause naturali" della morte nel carcere di Capanne sono così naturali che, non bastando la falsificazione dei registri, e la non ammissione di tabulati e video completi, si va a disegnar croci negli uffici degli avvocati.
L' udienza ha visto la latitanza dei medici legali, una sfilza infinita di "non so, non ricordo, sono passati quattro anni, non ero in servizio, non mi riguarda", un imputato che spesso si è girato a ridacchiare in faccia alle vittime, un cappellano che se ne è lavato le mani peggio di Pilato; tentare di intimidire un avvocato è segno di grande debolezza, quel registro contraffatto e quelle testimonianze di omissione di socccorso, rese da detenuti coraggiosi, fanno forse paura a qualche delinquente travestito da tutore dell'ordine?
Il nesso causale, nella falsificazione di registro, pare evidente; a causa di che cosa è stato falsificato il registro? E perchè il giudice del processo principale non ha accettato di acquisire i tabulati completi, non solo del telefono fisso dell' istituto, anche dei cellulari, né di richiedere le riprese video complete, al posto della rielaborazione fornita dalla stessa amministrazione penitenziaria? Nonostante le testimonianze sull' omissione di soccorso, nonostante i forti dubbi sui risultati delle autopsie, nonostante una pagina di registro ufficiale ufficialmente manipolata, della quale è stato detto che è normale che sia così, che le verbalizzazioni vengono fatte in modo distratto ... Le registrazioni video della notte in cui Aldo Bianzino è morto le ha prelevate la stessa polizia penitenziaria; un po' come se io mi perquisissi casa da me, se tutto questo non basta a uscirne puliti, si procede con le minacce. "Bianzino - e una croce - STOP - un' altra croce", è la scritta lasciata nell' ufficio dell' avvocato. 
A Perugia, come ad Arezzo per Gabriele Sandri, come in tante Procure e Prefetture italiane, ci sono troppe cose che non tornano, non solo in senso procedurale, anche in senso costituzionale.
Sono fatti.