Farmville1 |
Breve racconto triste
Confesso che gioco a Farmville; sì, a mesi alterni e
senza fretta, anche io zappo
carote, nutro gli animali, produco ciondoli portafortuna e quiche
agli asparagi per comprare nuovi appezzamenti
di terreno, visito i vicini, ecc.; nei primi tempi di
trasferimento dalla campagna al centro di Roma, Farmville mi fu di
grande aiuto per sopportare il calo dalla mia addiction ai
campi, ai fieni e alla legna tagliata. Lo dico senza vergogna, nessuno
mi può giudicare, ognuno è grullo a modo suo, come dicevo a un amico,
uno che appena entra in casa accende la tv, in risposta alle sue osservazioni critiche la mia attività al computer; c'è chi si finisce dalle
serie, io mi svago su Farmville, anche.
Fatta questa importante
premessa, dovete sapere che in Farmville alberga un Nero con la
barba, un tipo antipatico che coltiva tutto con una perfezione
geometrica da manicomio; deve essere in combutta con i padroni, perché
ogni tanto si ferma davanti alla fattoria e propone “affari”
che il più delle volte sono fregature. Arriva, e, mellifluo mellifluo,
mi dice che il mio primo amore si è trasferito in città, che vuole
vedermi e sarebbe felice di darmi una mano nella fattoria. Non ci sono stata a pensare su, ci sono cascata a tonfo; accetto lo schiavo, gli do il soprannome del mio primo
amore quello vero, e comincio a lavorare sulle mission che mi porteranno
al primo appuntamento; sono curiosa come una scimmia, e
così sentimentale che quasi mi batte il cuore mentre raccolgo frutta e insegno a potare al mio primo amore schiavo.
Ma nel giro di
neanche una settimana, quando ancora le mission sono lontane da essere completate,
zac, il maledetto Nero mi arriva con un bambino un culla, ce lo rifila e scompare.
Confesso: lo ho
chiamato Sfortunato, gli ho fatto i capelli grigi, non appena
è uscito dalla culla lo ho rinchiuso in magazzino, al buio e al freddo, e da lì non uscirà mai più.
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