31 ottobre 2008

INTERVENTO IN COMMISSIONE

ANTIPROIBIZIONISMO / UNA STRATEGIA POLITICA

Il titolo della commissione sottolinea l’aspetto della scelta individuale; cioè la forzatura che il proibizionismo opera sul diritto liberale inventandosi reati in cui non solo non c’è vittima ma nemmeno una condotta che possa farne prevedere una, come accade con le ultime normative Giovanardi che impongono etilometro e test antidroga a tutti, anche a chi non guida, anche a chi guida rispettando tutte le regole del codice della strada. Questa impostazione, che si concentra sulla tutela dei diritti del cittadino, nel caso del proibizionismo su droga e prostituzione, è corretta, ma si presta a facili confusioni e confutazioni fra facoltà, diritto, diritto biologico ecc.; certo, se anche drogarsi, prostituirsi o, per fare un altro esempio, abortire, non è un diritto ma una facoltà, resta il fondamentale e inalienabile diritto a disporre del proprio corpo e della propria persona come meglio piace a ciascuno, nei limiti del rispetto dei corpi e delle persone altrui; ma un fermo richiamo all’antiproibizionismo come strategia sociale è necessario per non opporre all’integralismo della posizione espressa dal governo oggi al potere, (abbiamo sentito giovanardi affermare che il drogato è spazzatura e che la fini giovanardi va inasprita , maroni minacciare il ritiro della patente per chi ha subito condanne relative agli stupefacenti), un altrettanto integralista lassismo come quello che ha guidato i governi di centrosinistra che poco hanno fatto, lasciando che tutto restasse come prima senza cambiare quasi niente.
Lo stesso discorso si può applicare alla prostituzione, cioè al proibizionismo applicato ai diritti sessuali, ma sempre e comunque al diritto di disporre del proprio corpo e della propria persona; anche in questo caso è necessario superare le opposte esagerazioni che vedono da una parte minacciare sanzioni a chi si prostituisce, oltre che ai clienti, e voglio vedere come faranno a distinguere tra clienti e fidanzati, dall’altra il più bieco permissivismo sui fenomeni terribili di riduzione in schiavitù che abitano le nostre città.
L’ antiproibizionismo come scelta economica e politica, scelta liberale anche di mercato, che libera dalle mani di criminali incalliti risorse finanziarie immense, scelta di salute pubblica attraverso corretta informazione sugli usi e sugli abusi, che non è fare del terrorismo mediatico come fa giovanardi, ma per esempio interrogarsi sulle analogie che fenomeni sociali del tutto percepiti come diversi da loro abbiano la stessa matrice di ignoranza.
Analizziamo qualche dato, anche se molti dei dati, trattando di fenomeni illegali quindi clandestini, sono in realtà stime; una relazione del ministero degli interni, che analizza gli anni dal 1990 al 2006, ci dà il numero di 500.000 circa tossicodipendenti segnalati, preferisco dire persone segnalate come tossicodipendenti. E’ interessante questa analisi perché il 1990 è l’anno di emanazione della Iervolino Vassalli, legge proibizionista che, nel titolo dedicato alla repressione delle sostanze illecite, iniziava con le parole: “È vietato l'uso personale di sostanze stupefacenti o psicotrope” ( è il comma 1 poi abrogato per referendum radicale vinto nel 1993 ) e che segnava l’inizio di una collaborazione italiana nelle politiche proibizioniste dell’Onu. Dal 1990 al 2006, la progressione è in netta ascesa, non solo nel numero dei segnalati, ma anche delle sanzioni erogate. Dopo 15 anni di proibizionismo, il numero dei segnalati si è triplicato (12000 nel 1990 37000 nel 2006), il numero delle sanzioni è quasi decuplicato (850 nel 1990 7200 nel 2006). Riguardo alla cannabis, nel 1990 le segnalazioni che la riguardavano erano il 42%, nel 2006 sono il 74%; fra le tendenze degli ultimi anni, che sono tendenze non solo italiane ma europee e internazionali si confermano la diminuizione dell’età di approccio, l’aumento del consumo di cocaina e del consumo di droghe sintetiche.
L’Osservatorio europeo stima in 4,5 milioni il numero di adulti che, in Europa, ha consumato cocaina nell’ultimo anno; la cocaina attualmente si contende il secondo posto fra le droghe più diffuse in Europa, dopo la canapa e alla pari con le droghe sintetiche. Il meccanismo attraverso il quale l’uso di cocaina è stato incentivato da parte dei distributori è lo stesso già collaudato più volte, quello che permise una rapida ascesa del consumo di eroina negli anni ’70. D’improvviso vengono a mancare gli altri tipi di droga in commercio e viene proposto un nuovo prodotto a prezzo promozionale; in realtà il mercato delle droghe illegali è saldamente organizzato a livello mondiale e ben poco sfugge ad un ferreo controllo centralizzato.
Anche la proliferazione di sostanze di sintesi risente delle politiche proibizioniste; la ricerca è clandestina, incontrollata, tesa alla creazione di molecole più “efficaci” e meno rilevabili, senza alcuna attenzione alla qualità e agli effetti nocivi.
Per la canapa, le modifiche genetiche operate su piante di canapa allo scopo di elevarne il contenuto in thc sono avvenute fuori da ogni controllo; alla fine, nessuno sa esattamente che cosa compra.
Non stupiscono quindi i recenti sequestri di psicofarmaci contrabbandati illegalmente ed usati insieme all’alcool; infatti la differenza tra psicofarmaco e sostanza psicoattiva non c’è, psicofarmaci, droghe e doping sono sfaccettature di uno stesso mercato, quello chimico-farmaceutico; le prime droghe di sintesi furono inventate nei laboratori delle industrie farmaceutiche e sarebbe assai ingenuo non ipotizzare uno scambio di informazioni tra industria legale e industria illegale.
Le distinzioni classiche tra droghe leggere e pesanti, tra spacciatore e consumatore, tra droga doping psicofarmaci sono fuorvianti; distraggono da distinzioni più precise e rappresentative.
Il fenomeno da prendere in considerazione è l’abuso e la dipendenza, non l’uso personale di droghe leggere e pesanti, che io vorrei radicalmente tutte legalizzati; sul consumo di cannabis, poi, in nome della strategia proibizionista, siamo arrivati alla aberrazione della violazione dei diritti dei malati che non hanno effettivo accesso in Italia ai farmaci derivati della canapa, alla violazione del diritto del cittadino ammalato o no alla libera determinazione dei propri comportamenti privati, nell’impedimento alla coltivazione domestica anche di una sola pianta di canapa, anche a malati con prescrizione medica; il cosiddetto spacciatore poi è figura totalmente inventata dal proibizionismo, dove altrimenti avremo venditori e consumatori.
La distinzione tra uso e abuso non viene sottolineata, mentre è fondamentale; non si può parlare di tossicodipendenza in presenza di un uso saltuario di farmaci o di droghe che dir si voglia, ricordo infatti come sempre che secondo la definizione dell’ Organizzazione mondiale della sanità i farmaci sono droghe e le droghe sono farmaci; d’ altra parte l’abuso e la dipendenza da qualsiasi sostanza, ma anche da qualsiasi alimento o addirittura comportamento, come è per le dipendenze da videopoker e tutti i moderni comportamenti compulsivi, produce seri danni economici e sociali. Nel caso delle sostanze illegali a questi danni si aggiunge quello rappresentato dai proventi delle attività illecite, che escono dalla contabilità ufficiale e vanno ad accrescere i flussi neri di denaro che in alcuni periodi e paesi superano i flussi legali. Si aggiunge anche la difficoltà di monitorare, controllare, definire sia i prodotti commerciati che la distribuzione; per esempio, non c’è controllo né sui pesticidi usati per le coltivazioni né sui tagli operati (la cocaina venduta in europa è pura in media al 45%); lo stesso discorso vale per il doping, dove laboratori semiclandestini producono barattoli di sostanze dubbie vendute poi sottobanco, e per la prostituzione dove nella clandestinità rivivono antiche schiavitù che sul nostro territorio preferiremmo non vedere, viste le lacrime e il sangue che ci sono voluti per uscirne.
C’è poi tutto l’indotto del proibizionismo, sotto forma di spese per la persecuzione dei reati e per le cosiddette comunità di recupero, mondo non privo di ombre inquietanti, sul quale interverrò in un’altra occasione.
Vorrei invece avviarmi alla conclusione con qualche dato storico, che ci aiuti ad inquadrare un po’ più da lontano il rapporto che la società umana ha intrattenuto e intrattiene con alcune piante.
La prima notizia scritta sul papavero da oppio compare su tavole sumeriche del III° millennio a.C. A Ippocrate, medico greco del V° secolo a.C. considerato uno dei padri della medicina occidentale, si deve la parola latina “opium”, traslato dal greco οπός μεκονος, succo di papavero. L’ uso di questa pianta è apparso fin dall’inizio terapeutico, per le sue grandi proprietà analgesiche, né ci dobbiamo dimenticare che tutti i farmaci antidolorifici traggono le loro origini dallo studio di piante come il papavero, la coca, la canapa, il caffè ecc.; poter controllare il dolore è sempre apparso legittimamente agli uomini come uno scopo per il quale valeva la pena ricercare e studiare. Non possiamo neanche immaginare cosa fosse la medicina prima che le proprietà dell’oppio venissero studiate e applicate, le sofferenze, i dolori che non potevano essere leniti, le operazioni senza anestesia; prima di dire che l’uso delle droghe è devastante si deve considerare quanto giovamento queste piante hanno portato all’umanità e quanto se usate nelle maniere giuste possano non essere devastanti, ma al contrario, benefiche.
Nel corso della storia umana le droghe hanno subito alterne fortune: proibite o ammesse, esaltate o demonizzate, sfruttate e raffinate da un’industria sempre più mirata. Così nel 1640 in Cina l’ultimo imperatore della dinastia Ming decretò la pena di morte per chi trafficasse o consumasse tabacco; la proibizione fece sì che si cominciasse a fumare oppio, fino ad allora consumato prevalentemente per via orale. Mentre i successivi imperatori manciù proibivano dapprima il commercio dell’oppio con gli europei e nel 1793 anche la coltivazione, lo stesso oppio, come principale ingrediente del laudano, entrava a far parte dell’armadietto dei medicinali di famiglia in tutta Europa dove rimarrà per due secoli, senza che la disponibilità generasse legioni di tossicodipendenti. Certo anche allora c’era qualche fenomeno di abuso, la dipendenza è una tendenza umana che si può manifestare in mille modi, ma la disponibilità non genera un aumento dei fenomeni di abuso, cosa che accade invece invariabilmente quando un l’uso di una sostanza viene vietato e punito.
Ci si chiede che differenza ci sia tra assumere psicofarmaci e drogarsi, se non una teorica differenza tra legalizzata e illegale, che moltiplica i profitti, e anche con quale perverso spirito di contraddizione in una Italia inondata di test antidroga e spot terroristici, si è riaperta la strada alla somministrazione di psicofarmaci ai bambini, il tanto discusso caso del Ritalin; quale differenza passi tra il doping per migliorare le prestazioni sportive e il Viagra; come si possa trattare in modo così diverso la vendita di caffeina tabacco alcool e quella di cocaina canapa o oppio. Perché dobbiamo tollerare l’ipocrisia di un proibizionismo di classe che consente ai più ricchi la soddisfazione di ogni vizio mentre agli altri viene tutto impedito? e i cartelloni che in autostrada ci invitano, se abbiamo sonno, a prenderci un caffè?
Il concetto di antiproibizionismo si contrappone ai metodi di regime, al potere autoritario, l’antiproibizionismo nella sua valenza di strategia di governo dei fenomeni sociali attraverso le armi nonviolente della comunicazione e dell’informazione, strategia nonviolenta, democratica e liberale.
I regimi autoritari hanno bisogno di conservare il potere con la paura e con le punizioni, con la repressione economica, con la limitazione dei diritti civili, con i privilegi e con le dinamiche di casta; una democrazia compiuta trova nel dibattito pubblico e nella libera informazione l’antidoto alla degenerazioni violente e alle crisi di sistema.

Claudia Sterzi, segretaria Associazione Radicale Antiproibizionisti @.r.a.
antiproibizionistiradicali@gmail.com

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