E’ di ieri l’annuncio della nascita di un Comitato Scientifico antidroga, dato a palazzo Chigi dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla droga, Carlo Giovanardi, e Giovanni Serpelloni, Capo Dipartimento Politiche Antidroga, E, accanto al Comitato, e' stata istituita anche la Consulta degli esperti e degli operatori, composta da 70 membri, ''una sorta di 'parlamentino' - ha spiegato Giovanardi - dove discutere le politiche antidroga''.
Il Presidente del neonato Comitato, Prof. Antonello Bonci, ha sobriamente dichiarato: ''I professionisti che fanno parte del comitato sono le persone migliori del mondo nei propri campi d'appartenenza . . .” ; con queste premesse, e al grido “Se ti droghi vai a piedi!” sono state illustrate le iniziative che si intendono avviare per contrastare le tragiche conseguenze dell’uso ( più esatto sarebbe dire “dell’abuso” ) di sostanze psicoattive.
Test antidroga ai lavoratori, test antidroga agli automobilisti, test antidroga per prendere la patente; per questi ultimi entro dicembre partirà la sperimentazione più volte annunciata a Perugia, Foggia, Verona e Cagliari.
Test antidroga e campagne pubblicitarie pseudoscientifiche sono le scarse e controverse misure che Giovanardi vanta, mentre la tragica realtà italiana consiste di carceri stracolme e di un mercato delle droghe illegali in espansione continua.
Ne parleremo anche domani, 17 ottobre, a Perugia, nel corso del dibattito che si terrà alle 16 nell’aula 2 della Facoltà di Scienze Politiche, Via Pascoli, dal titolo : “Proibizionismo e carceri: scarsi risultati a caro prezzo. Quali politiche alternative? “
Claudia Sterzi, segretaria Associazione Radicale Antiproibizionisti, antiproibizionistiradicali@gmail.com tel. 3381007330
Incontro sul tema
Proibizionismo: scarsi risultati a caro prezzo.
La situazione in Umbria. Quali politiche alternative?
Introduce
Prof. Giancarla Cicoletti, Sociologia del lavoro e delle organizzazioni, Facoltà di Scienze Politiche
Interventi programmati di:
Simonetta Bruschini, referente per le dipendenze del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza dell'Umbria
Mario Fringuello, maresciallo superiore dei Carabinieri – Polizia Giudiziaria di Perugia
Michele Rana, del SIAP ( Sindacato Italiano Appartenenti Polizia ), dirigente di Radicali Italiani
Claudia Sterzi, segretaria dell'Associazione Radicale Antiproibizionisti
Modera
Andrea Maori, direzione dell'Associazione Radicale Antiproibizionisti
Sono previsti interventi non programmati di altri docenti e dibattito con gli studenti
Gli studenti del corso di laurea in Scienze sociali e del Servizio sociale potranno acquisire un credito CFU
Proibizionismo: scarsi risultati a caro prezzo.
La situazione in Umbria. Quali politiche alternative?
Introduce
Prof. Giancarla Cicoletti, Sociologia del lavoro e delle organizzazioni, Facoltà di Scienze Politiche
Interventi programmati di:
Simonetta Bruschini, referente per le dipendenze del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza dell'Umbria
Mario Fringuello, maresciallo superiore dei Carabinieri – Polizia Giudiziaria di Perugia
Michele Rana, del SIAP ( Sindacato Italiano Appartenenti Polizia ), dirigente di Radicali Italiani
Claudia Sterzi, segretaria dell'Associazione Radicale Antiproibizionisti
Modera
Andrea Maori, direzione dell'Associazione Radicale Antiproibizionisti
Sono previsti interventi non programmati di altri docenti e dibattito con gli studenti
Gli studenti del corso di laurea in Scienze sociali e del Servizio sociale potranno acquisire un credito CFU
INTERVENTO ALL'UNIVERSITA' DI PERUGIA
di Claudia Sterzi
Vorrei per prima cosa rispondere ad una affermazione del maresciallo Fringuello che ha parlato ora ed ha affermato che “ l’uso di droghe è devastante”, perché è importante che l’informazione sia completa; l’uso di droghe non è devastante, casomai l’abuso e la dipendenza dalle droghe è devastante, non bisogna dimenticare che la parola droghe, in inglese drugs , in inglese ha conservato il significato sia di droga che di farmaco, in italiano si è creata una differenza tra droghe, farmaci, doping, mentre parliamo di fenomeni del tutto simili; secondo l’ Organizzazione Mondiale della Sanità le droghe sono farmaci e i farmaci sono droghe, tutto dipende dalle modalità di assunzione; l’assoluta mancanza di controllo e di analisi delle sostanze assunte, quindi la loro pericolosità, deriva in gran parte dalla loro illegalità e clandestinità.
Cominciamo da alcuni dati: la Polizia di Stato fornisce, attraverso il suo sito, le cifre della sua attività nel primo semestre 2008; in questo periodo sono state segnalate dai servizi antidroga all’ autorità giudiziaria, in Umbria, 412 persone, il 2,29 % del dato nazionale; nello stesso periodo infatti in Italia sono state segnalate circa 18.000 persone ( più di un quarto per eroina, che insieme a cocaina e hashish costituiscono la maggior parte delle sostanze sequestrate ), che vanno ad aggiungersi ai nove milioni di processi penali pendenti in Italia , con termine medio di attesa di sei anni superiore a tutti i parametri non solo europei, che vanno ad aggiungersi ai detenuti ospitati in carceri che non li possono contenere, di nuovo, in condizioni contrarie ad ogni diritto umano alla decenza. Lo dico perché l’ho visto con i miei occhi nel corso delle visite che come radicali abbiamo sempre fatto nelle carceri italiane, sono condizioni igieniche e di vita che non possono rieducare nessuno e in più della metà dei casi si applicano a detenuti in attesa di giudizio, quindi potenzialmente innocenti.
Il 27,6 % dei detenuti sono tossicodipendenti, il 2,5% sono alcooldipendenti, il 4,5% sono in trattamento metadonico, per un totale di 16.789 (34,6% del totale) persone malate rinchiuse in istituti di pena, e veramente di pena si tratta, in questo caso, come se essere tossicodipendenti non fosse già una pena di per sé.
Se si rilegge l’articolo 27 della Costituzione: "…Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato…" si può già concludere che tenere un tossicodipendente in carcere, nelle carceri italiane, è già di per sé contrario a qualunque senso di umanità; il tossicodipendente, colui che è dipendente e abusa di sostanze stupefacenti, è un malato e con umanità deve essere curato.
Magari riammodernando il termine di tossicodipendente, distinguendo tra uso e abuso, sforzandosi di uscire da un’ ottica proibitiva e punitiva, oltre la quale c’è solo la pena di morte, quell’ottica che portò nei secoli la società a dotarsi di prigioni sorvegliate e segregate; bisogna insistere sul rispetto della legge costituzionale, continuare in un processo culturale di innovazione e modernizzazione. La giustizia italiana è una giustizia perennemente in ritardo, in tutto, nei processi, nell’organizzazione, nelle notifiche, nell’aggiornamento anche tecnologico.
Parlando poi dell’aspetto economico, nel sito dell’ Osservatorio sulle droghe per l’anno 2006, troviamo una stima in termini economici, che calcola il costo della permanenza in carcere dei tossicodipendenti, escludendo il costo di terapie specifiche o da patologie correlate. La strategia proibizionista sul fenomeno dell’uso e abuso di sostanze psicotrope costa allo Stato, quindi a noi cittadini, circa un miliardo di euro l’anno.
Secondo la relazione annuale 2006 sulle droghe del Governo, riportato sempre dall’Osservatorio sulle droghe, 1,8 miliardi di Euro sarebbero le spese per l’apparato giudiziario e di polizia impegnato nell’azione di contrasto. E siamo a 2,8 miliardi di euro.
2,8 miliardi di euro spesi per combattere in termini proibizionisti e punitivi un fenomeno sociale; gioverà ricordare che il termine proibizionismo fu coniato in relazione a un particolare periodo della storia statunitense in cui era legalmente proibito produrre, importare, esportare e vendere bevande alcoliche. La strategia proibizionista durò dal 1919 al 1933 e fu totalmente fallimentare, oltre ad alimentare la malavita organizzata ( 500.000 nuovi criminali ) che visse in quei 14 anni un periodo di espansione e splendore.
Spesso gli effetti secondari, che in sociologia vengono definiti effetti perversi, delle decisioni legislative vengono trascurati; nel caso del proibizionismo come mezzo di controllo per i fenomeni sociali, questa trascuratezza è evidente. Gli effetti perversi, in termini di costi sia sociali che economici, superano di gran lunga i benefici.
Questa la realtà nostra. Sul sito dell’osservatorio europeo sulle droghe e sulla tossicodipendenza sono riportate le stime del consumo in Europa; si parla di stime in quanto trattandosi di un fenomeno clandestino e illegale non si può contare con certezza; per esempio i consumatori europei di cocaina sono stimati in 12 milioni, quindi un numero enorme che non si può continuare ad affrontare con le stesse strategie che ne hanno consentito l’aumento, si dovrà cominciare a sperimentare strategie alternative.
Dopo questi dati, cerchiamo di tracciare uno spazio storico dove situare i fenomeni sociali che stiamo prendendo in considerazione.
La prima notizia scritta sul papavero da oppio compare su tavole sumeriche del III° millennio a.C. A Ippocrate, medico greco del V° secolo a.C. considerato uno dei padri della medicina occidentale, si deve la parola latina “opium”, traslato dal greco οπός μεκονος, succo di papavero. L’ uso di questa pianta è apparso fin dall’inizio terapeutico, per le sue grandi proprietà analgesiche, né ci dobbiamo dimenticare che tutti i farmaci antidolorifici traggono le loro origini dallo studio di piante come il papavero, la coca, la canapa; poter controllare il dolore è sempre apparso legittimamente agli uomini come uno scopo per il quale valeva la pena ricercare e studiare. Non possiamo neanche immaginare cosa fosse la medicina prima che le proprietà dell’oppio venissero studiate e applicate, le sofferenze, i dolori che non potevano essere leniti, le operazioni senza anestesia; prima di dire che l’uso delle droghe è devastante si deve considerare quanto giovamento queste piante hanno portato all’umanità e quanto se usate nelle maniere giuste possano non essere devastanti, ma al contrario, benefiche.
Nel corso della storia umana le droghe hanno subito alterne fortune: proibite o ammesse, esaltate o demonizzate, sfruttate e raffinate da un’industria sempre più mirata. Così nel 1640 in Cina l’ultimo imperatore della dinastia Ming decretò la pena di morte per chi trafficasse o consumasse tabacco; la proibizione fece sì che si cominciasse a fumare oppio, fino ad allora consumato prevalentemente per via orale. Mentre i successivi imperatori manciù proibivano dapprima il commercio dell’oppio con gli europei e nel 1793 anche la coltivazione, lo stesso oppio, come principale ingrediente del laudano, entrava a far parte dell’armadietto dei medicinali di famiglia in tutta Europa dove rimarrà per due secoli, senza che la disponibilità generasse legioni di tossicodipendenti. Certo anche allora c’era qualche fenomeno di abuso, la dipendenza è una tendenza umana che si può manifestare in mille modi, ma la disponibilità non genera un aumento dei fenomeni di abuso, cosa che accade invece invariabilmente quando un l’uso di una sostanza viene vietato e punito.
Già allora i flussi di mercato e di denaro legati al consumo di droghe producevano guerre e conflitti sociali; nel 1729, quando viene decretato lo strangolamento per i contrabbandieri di oppio e i proprietari delle fumerie, il traffico clandestino di oppio dalla Cina all’Europa consiste in circa una tonnellata e mezzo. Una escalation di proibizionismo porterà nel secolo seguente questa cifra fino a 5000 tonnellate.
A fronte delle indubbie capacità medicinali di alcune piante, le loro potenzialità di provocare assuefazione, intossicazione e dipendenza le hanno rese e le rendono strumenti e giustificazione di guerre commerciali, spietati business, vere e proprie guerre civili.
Norbert Elias nel suo saggio di sociologia della conoscenza, "Coinvolgimento e distacco", ci spiega come l’eccessiva emotività impedisca di vedere le cose con il distacco necessario per una valutazione e azione incisiva; il livello di autocontrollo, dice, va di pari passo con il livello di controllo del processo. I due livelli sono interdipendenti e complementari. Una reazione emotiva intensa diminuisce la possibilità di giudicare realisticamente il processo critico e quindi di reagire in modo realistico e efficace.
Di fronte ad un fenomeno che coinvolge emotivamente tante persone ( pensiamo ai consumatori, agli indagati, alle famiglie degli indagati, agli avvocati, alle mafie produttrici, agli spacciatori e alle loro famiglie) è molto facile cadere in atteggiamenti integralisti e polarizzati: da una parte il drogato come il male assoluto, come spazzatura marcia della società, dall’altra la facile mitizzazione dei comportamenti illeciti e della insubordinazione all’ordine costituito.
L’ottica antiproibizionista esce da questi opposti e propone una strategia di legalità e di intelligenza del fenomeno che scoraggi l’abuso attraverso l’informazione senza demonizzare e senza mitizzare alcuno e alcunchè.
Non si tratta di difendere un fantomatico diritto a drogarsi; drogarsi non è un diritto, è una facoltà umana; si tratta di garantire che il soddisfacimento di questa facoltà non rechi conseguenze drammatiche.
Il Professor Fredrick Polak, psichiatra e psicoanalista olandese, membro della Fondazione per le politiche olandesi sulle droghe e consulente del dipartimento droghe città di Amsterdam, ha avvicinato di recente Antonio Costa, direttore esecutivo dell’ufficio ONU su droghe e crimine, per porgli questa semplice domanda: “In Olanda la cannabis è disponibile per tutti coloro che vogliano farne uso, sempre se maggiorenni. Non ci sono restrizioni sull’uso di cannabis e sul possesso di piccole quantità, ma il livello di consumo di cannabis dei giovani olandesi è più basso che negli altri paesi vicini. Come si spiega questo dato in netto contrasto con le teorie proibizioniste?” Attendiamo ancora, insieme a lui, una risposta dal dottor Costa.
L’Olanda è all’avanguardia anche nell’uso dei derivati della canapa come medicinale; è il Ministero della sanità olandese che si fa carico della coltivazione, produzione e distribuzione del Bedrocan, farmaco indicato per contrastare i sintomi di svariate malattie gravi come la sclerosi multipla o gli effetti collaterali delle chemioterapie.
Del resto recenti studi hanno messo a fuoco le doti antitumorali e neuroprotettive, ipotizzando non solo la funzione terapeutica nelle malattie degenerative del sistema nervoso, ma anche una funzione preventiva e di profilassi.
Se non bastassero, in tema di efficacia delle strategie proibizioniste, gli esempi del proibizionismo americano sull’alcool, quello del consumo di cannabis in Olanda e quello del contrabbando di oppio in Cina, vorrei portare altri due esempi:
in America, nel 1956, quando venne emanato il Narcotics Control Act, che inaspriva in senso proibizionista le leggi vigenti, il numero di americani in carcere per motivi legati al consumo di eroina è di circa 1000; nel ’60, dopo 4 anni, questo numero è decuplicato.
Un altro esempio lo troviamo trattando di tutto un altro argomento, del quale mi sono occupata per la mia tesi in sociologia dei processi culturali, sulle mutilazioni genitali femminili e su come la nostra società occidentale ha reagito all’arrivo delle donne immigrate coinvolte in questa pratica. In Sudan, nel 1946, vennero proibite severamente per legge le mgf, che venivano tradizionalmente effettuate su gran parte delle bambine sudanesi; il risultato ottenuto fu l’abbassamento repentino dell’età media della mutilazione, perché tutti i genitori si affrettarono ad operare le bambine prima che le legge entrasse in effettivo vigore.
Sulla osservazione della dottoressa Cicoletti, sull’ aspetto economico, certo parliamo di cifre enormi; infatti è molto più semplice trattare con i proibizionisti in buona fede, con i quali è comunque possibile trovare punti di incontro e mediazione; i problemi sorgono con i proibizionisti in mala fede, cioè coloro che dal proibizionismo traggono grandi guadagni. Intorno al traffico di sostanze stupefacenti, collegato al traffico di armi e di persone, girano interessi in stretta connessione con la politica internazionale; basta pensare al traffico di oppio talebano che finanzia il terrorismo. Legalizzando, secondo me, droghe e prostituzione, si dà, sì, un colpo formidabile alla mafia, ma anche si cambia la politica internazionale.
Grazie a tutti
Cominciamo da alcuni dati: la Polizia di Stato fornisce, attraverso il suo sito, le cifre della sua attività nel primo semestre 2008; in questo periodo sono state segnalate dai servizi antidroga all’ autorità giudiziaria, in Umbria, 412 persone, il 2,29 % del dato nazionale; nello stesso periodo infatti in Italia sono state segnalate circa 18.000 persone ( più di un quarto per eroina, che insieme a cocaina e hashish costituiscono la maggior parte delle sostanze sequestrate ), che vanno ad aggiungersi ai nove milioni di processi penali pendenti in Italia , con termine medio di attesa di sei anni superiore a tutti i parametri non solo europei, che vanno ad aggiungersi ai detenuti ospitati in carceri che non li possono contenere, di nuovo, in condizioni contrarie ad ogni diritto umano alla decenza. Lo dico perché l’ho visto con i miei occhi nel corso delle visite che come radicali abbiamo sempre fatto nelle carceri italiane, sono condizioni igieniche e di vita che non possono rieducare nessuno e in più della metà dei casi si applicano a detenuti in attesa di giudizio, quindi potenzialmente innocenti.
Il 27,6 % dei detenuti sono tossicodipendenti, il 2,5% sono alcooldipendenti, il 4,5% sono in trattamento metadonico, per un totale di 16.789 (34,6% del totale) persone malate rinchiuse in istituti di pena, e veramente di pena si tratta, in questo caso, come se essere tossicodipendenti non fosse già una pena di per sé.
Se si rilegge l’articolo 27 della Costituzione: "…Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato…" si può già concludere che tenere un tossicodipendente in carcere, nelle carceri italiane, è già di per sé contrario a qualunque senso di umanità; il tossicodipendente, colui che è dipendente e abusa di sostanze stupefacenti, è un malato e con umanità deve essere curato.
Magari riammodernando il termine di tossicodipendente, distinguendo tra uso e abuso, sforzandosi di uscire da un’ ottica proibitiva e punitiva, oltre la quale c’è solo la pena di morte, quell’ottica che portò nei secoli la società a dotarsi di prigioni sorvegliate e segregate; bisogna insistere sul rispetto della legge costituzionale, continuare in un processo culturale di innovazione e modernizzazione. La giustizia italiana è una giustizia perennemente in ritardo, in tutto, nei processi, nell’organizzazione, nelle notifiche, nell’aggiornamento anche tecnologico.
Parlando poi dell’aspetto economico, nel sito dell’ Osservatorio sulle droghe per l’anno 2006, troviamo una stima in termini economici, che calcola il costo della permanenza in carcere dei tossicodipendenti, escludendo il costo di terapie specifiche o da patologie correlate. La strategia proibizionista sul fenomeno dell’uso e abuso di sostanze psicotrope costa allo Stato, quindi a noi cittadini, circa un miliardo di euro l’anno.
Secondo la relazione annuale 2006 sulle droghe del Governo, riportato sempre dall’Osservatorio sulle droghe, 1,8 miliardi di Euro sarebbero le spese per l’apparato giudiziario e di polizia impegnato nell’azione di contrasto. E siamo a 2,8 miliardi di euro.
2,8 miliardi di euro spesi per combattere in termini proibizionisti e punitivi un fenomeno sociale; gioverà ricordare che il termine proibizionismo fu coniato in relazione a un particolare periodo della storia statunitense in cui era legalmente proibito produrre, importare, esportare e vendere bevande alcoliche. La strategia proibizionista durò dal 1919 al 1933 e fu totalmente fallimentare, oltre ad alimentare la malavita organizzata ( 500.000 nuovi criminali ) che visse in quei 14 anni un periodo di espansione e splendore.
Spesso gli effetti secondari, che in sociologia vengono definiti effetti perversi, delle decisioni legislative vengono trascurati; nel caso del proibizionismo come mezzo di controllo per i fenomeni sociali, questa trascuratezza è evidente. Gli effetti perversi, in termini di costi sia sociali che economici, superano di gran lunga i benefici.
Questa la realtà nostra. Sul sito dell’osservatorio europeo sulle droghe e sulla tossicodipendenza sono riportate le stime del consumo in Europa; si parla di stime in quanto trattandosi di un fenomeno clandestino e illegale non si può contare con certezza; per esempio i consumatori europei di cocaina sono stimati in 12 milioni, quindi un numero enorme che non si può continuare ad affrontare con le stesse strategie che ne hanno consentito l’aumento, si dovrà cominciare a sperimentare strategie alternative.
Dopo questi dati, cerchiamo di tracciare uno spazio storico dove situare i fenomeni sociali che stiamo prendendo in considerazione.
La prima notizia scritta sul papavero da oppio compare su tavole sumeriche del III° millennio a.C. A Ippocrate, medico greco del V° secolo a.C. considerato uno dei padri della medicina occidentale, si deve la parola latina “opium”, traslato dal greco οπός μεκονος, succo di papavero. L’ uso di questa pianta è apparso fin dall’inizio terapeutico, per le sue grandi proprietà analgesiche, né ci dobbiamo dimenticare che tutti i farmaci antidolorifici traggono le loro origini dallo studio di piante come il papavero, la coca, la canapa; poter controllare il dolore è sempre apparso legittimamente agli uomini come uno scopo per il quale valeva la pena ricercare e studiare. Non possiamo neanche immaginare cosa fosse la medicina prima che le proprietà dell’oppio venissero studiate e applicate, le sofferenze, i dolori che non potevano essere leniti, le operazioni senza anestesia; prima di dire che l’uso delle droghe è devastante si deve considerare quanto giovamento queste piante hanno portato all’umanità e quanto se usate nelle maniere giuste possano non essere devastanti, ma al contrario, benefiche.
Nel corso della storia umana le droghe hanno subito alterne fortune: proibite o ammesse, esaltate o demonizzate, sfruttate e raffinate da un’industria sempre più mirata. Così nel 1640 in Cina l’ultimo imperatore della dinastia Ming decretò la pena di morte per chi trafficasse o consumasse tabacco; la proibizione fece sì che si cominciasse a fumare oppio, fino ad allora consumato prevalentemente per via orale. Mentre i successivi imperatori manciù proibivano dapprima il commercio dell’oppio con gli europei e nel 1793 anche la coltivazione, lo stesso oppio, come principale ingrediente del laudano, entrava a far parte dell’armadietto dei medicinali di famiglia in tutta Europa dove rimarrà per due secoli, senza che la disponibilità generasse legioni di tossicodipendenti. Certo anche allora c’era qualche fenomeno di abuso, la dipendenza è una tendenza umana che si può manifestare in mille modi, ma la disponibilità non genera un aumento dei fenomeni di abuso, cosa che accade invece invariabilmente quando un l’uso di una sostanza viene vietato e punito.
Già allora i flussi di mercato e di denaro legati al consumo di droghe producevano guerre e conflitti sociali; nel 1729, quando viene decretato lo strangolamento per i contrabbandieri di oppio e i proprietari delle fumerie, il traffico clandestino di oppio dalla Cina all’Europa consiste in circa una tonnellata e mezzo. Una escalation di proibizionismo porterà nel secolo seguente questa cifra fino a 5000 tonnellate.
A fronte delle indubbie capacità medicinali di alcune piante, le loro potenzialità di provocare assuefazione, intossicazione e dipendenza le hanno rese e le rendono strumenti e giustificazione di guerre commerciali, spietati business, vere e proprie guerre civili.
Norbert Elias nel suo saggio di sociologia della conoscenza, "Coinvolgimento e distacco", ci spiega come l’eccessiva emotività impedisca di vedere le cose con il distacco necessario per una valutazione e azione incisiva; il livello di autocontrollo, dice, va di pari passo con il livello di controllo del processo. I due livelli sono interdipendenti e complementari. Una reazione emotiva intensa diminuisce la possibilità di giudicare realisticamente il processo critico e quindi di reagire in modo realistico e efficace.
Di fronte ad un fenomeno che coinvolge emotivamente tante persone ( pensiamo ai consumatori, agli indagati, alle famiglie degli indagati, agli avvocati, alle mafie produttrici, agli spacciatori e alle loro famiglie) è molto facile cadere in atteggiamenti integralisti e polarizzati: da una parte il drogato come il male assoluto, come spazzatura marcia della società, dall’altra la facile mitizzazione dei comportamenti illeciti e della insubordinazione all’ordine costituito.
L’ottica antiproibizionista esce da questi opposti e propone una strategia di legalità e di intelligenza del fenomeno che scoraggi l’abuso attraverso l’informazione senza demonizzare e senza mitizzare alcuno e alcunchè.
Non si tratta di difendere un fantomatico diritto a drogarsi; drogarsi non è un diritto, è una facoltà umana; si tratta di garantire che il soddisfacimento di questa facoltà non rechi conseguenze drammatiche.
Il Professor Fredrick Polak, psichiatra e psicoanalista olandese, membro della Fondazione per le politiche olandesi sulle droghe e consulente del dipartimento droghe città di Amsterdam, ha avvicinato di recente Antonio Costa, direttore esecutivo dell’ufficio ONU su droghe e crimine, per porgli questa semplice domanda: “In Olanda la cannabis è disponibile per tutti coloro che vogliano farne uso, sempre se maggiorenni. Non ci sono restrizioni sull’uso di cannabis e sul possesso di piccole quantità, ma il livello di consumo di cannabis dei giovani olandesi è più basso che negli altri paesi vicini. Come si spiega questo dato in netto contrasto con le teorie proibizioniste?” Attendiamo ancora, insieme a lui, una risposta dal dottor Costa.
L’Olanda è all’avanguardia anche nell’uso dei derivati della canapa come medicinale; è il Ministero della sanità olandese che si fa carico della coltivazione, produzione e distribuzione del Bedrocan, farmaco indicato per contrastare i sintomi di svariate malattie gravi come la sclerosi multipla o gli effetti collaterali delle chemioterapie.
Del resto recenti studi hanno messo a fuoco le doti antitumorali e neuroprotettive, ipotizzando non solo la funzione terapeutica nelle malattie degenerative del sistema nervoso, ma anche una funzione preventiva e di profilassi.
Se non bastassero, in tema di efficacia delle strategie proibizioniste, gli esempi del proibizionismo americano sull’alcool, quello del consumo di cannabis in Olanda e quello del contrabbando di oppio in Cina, vorrei portare altri due esempi:
in America, nel 1956, quando venne emanato il Narcotics Control Act, che inaspriva in senso proibizionista le leggi vigenti, il numero di americani in carcere per motivi legati al consumo di eroina è di circa 1000; nel ’60, dopo 4 anni, questo numero è decuplicato.
Un altro esempio lo troviamo trattando di tutto un altro argomento, del quale mi sono occupata per la mia tesi in sociologia dei processi culturali, sulle mutilazioni genitali femminili e su come la nostra società occidentale ha reagito all’arrivo delle donne immigrate coinvolte in questa pratica. In Sudan, nel 1946, vennero proibite severamente per legge le mgf, che venivano tradizionalmente effettuate su gran parte delle bambine sudanesi; il risultato ottenuto fu l’abbassamento repentino dell’età media della mutilazione, perché tutti i genitori si affrettarono ad operare le bambine prima che le legge entrasse in effettivo vigore.
Sulla osservazione della dottoressa Cicoletti, sull’ aspetto economico, certo parliamo di cifre enormi; infatti è molto più semplice trattare con i proibizionisti in buona fede, con i quali è comunque possibile trovare punti di incontro e mediazione; i problemi sorgono con i proibizionisti in mala fede, cioè coloro che dal proibizionismo traggono grandi guadagni. Intorno al traffico di sostanze stupefacenti, collegato al traffico di armi e di persone, girano interessi in stretta connessione con la politica internazionale; basta pensare al traffico di oppio talebano che finanzia il terrorismo. Legalizzando, secondo me, droghe e prostituzione, si dà, sì, un colpo formidabile alla mafia, ma anche si cambia la politica internazionale.
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