CRONACHE RADICALI
… vorrei che tu, Lapo ed io …
di Claudia Sterzi
Ognuno ha il Lapo che si merita; a Firenze ci s’ha i’ pPistelli, bel signore con gli occhi azzurri, ben nato e ancor meglio vissuto, amico della gente giusta, insomma un vero mito.
In politica fin da quando era sulle ginocchia della mamma, oltre a parlare le lingue e a saper distinguere al primo sguardo una forchetta da dessert da una da pesce, scrive, e quando scrive un libro per presentarlo si scomodano fior di professori universitari che stendono rossi tappetini sotto i suoi piedi con lancio di fiori rari; di che partito è Lapo? Ma naturalmente del partito giusto, quello che domina in toscana ormai da 50 e passa lunghi anni, quello che occupa la parte sinistra della navata, detto un tempo cattocomunista ed oggi tornato democratico ma cristiano.
Bene, con i soldi pubblici Lapo fa ciò che vuole, perché sono suoi per destino: qui in toscana la libera circolazione delle élites è roba dimenticata ormai da così tanto che per disseppellirla non basterebbe la rivoluzione dei ciompi né la congiura dei pazzi.
Ogni tanto Lapo si può anche permettere di fare cose apparentemente insensate, come invitare un radicale a parlare di eutanasia; d’altronde voci di corridoio lo danno in corsa per sindaco al posto di Venerdì ( simpatico soprannome popolare dell’attuale sindaco ), e per i democratici ma vaticani si sa che il fine giustifica i mezzi.
Così Lapo invita, anzi fa invitare da una delle sue associazioni, INPUT ( sottotitolo PENSIERO PANORAMICO ), Marco Cappato, europarlamentare radicale d.o.c., segretario dell’associazione Luca Coscioni; siccome i democratici ma talebani oltre che nella gestione dei fini e dei mezzi sono maestri dell’arte di lanciare il sasso e nascondere la mano, organizza un dibattito sull’eutanasia ma lo chiama presentazione di un libro sul coma vegetativo, invita un radicale ma non reclamizza l’incontro, riceve gli ospiti ma poi scappa in tutt’altre faccende sfaccendato.
Insomma, la solita trappola politica metropolitana.
Il libro che si presenta, venerdì scorso 27 aprile, si intitola: “Terry Schiavo, l’umano nascosto”, scritto da un medico che a Bergamo dirige da otto anni un reparto di pazienti in coma vegetativo persistente; invitati l’autore, Giovan Battista Guizzetti, Marco Cappato, modera Franco Bomprezzi, capo redattore di AGR, Agenzia Radio. Sottotitolo della presentazione: “tempo di vivere tempo di morire”, dal sapore appena vagamente biblico, spiegato dall’introduttore come titolo del libro di Remarque, che in realtà parla di guerra e non di scelte di fine vita.
Visto che l’autore è in grave ritardo per colpa di un incidente sull’A1, il pubblico inizia a rumoreggiare e il dibattito inizia senza di lui: introduzione, presentazione del libro da parte del moderatore.
Il libro parla di domande ineludibili, per chi ha solidi valori cattolici, mentre sembra che le domande chi non ha valori cattolici non se le ponga affatto; di atteggiamenti utilitaristici per cui si teme che la persona umana sia rispettabile entità fino a che funziona, per divenire in caso contrario un peso se non un costo, fino ad arrivare al rischio di favorire un meccanismo “eugenetico”, che a me sembrava significasse un’altra cosa, ma ci sta bene per far capire fin dall’inizio dove si andrà a parare.
Meno male che Cappato nella trappola non casca, ma con bella calma tratta dell’aspetto legislativo, di elementi che uniscono la cultura laica radicale a quella religiosa, con citazione en passant della presenza in sala della sottoscritta digiunatrice impegnata in una battaglia nonviolenta per la moratoria della pena di morte; del fatto che coloro che hanno partecipato alla doverosa, costituzionale interruzione di terapia su volontà espressa di Piero Welby sono passibili e stanno passando un procedimento penale che potrebbe portarli in carcere per quattordici lunghi anni; con altrettanta bella calma tratta dell’aspetto politico, di come una regolamentazione sia necessaria per dotare di criteri, regole, verifiche sulle reali volontà; dell’eutanasia clandestina, che nella clandestinità ospita, quella sì, rischi di distinzioni arbitrarie e utilitaristiche da parte di parenti e medici.
Insomma, i classici argomenti radicali: rispetto della volontà dell’individuo chiaramente espressa, legalizzazione dei fenomeni sociali clandestini.
Ma ecco arriva l’autore, che per cominciare azzarda un ardito parallelo fra i pazienti in coma vegetativo e gli embrioni umani, fra interruzione di terapia e aborto terapeutico; prosegue con la condanna preventiva di chi ha attuato l’interruzione di terapia su Piero Welby, che secondo lui è ben giusto che passi processo e anzi dovrebbe andare in carcere, perché un medico può non cominciare ma non può sospendere un “trattamento proporzionato” ( si immagina che sulla proporzione del trattamento il dottor Guizzetti consideri la classe medica come giudice assoluto ). Non contento, premette di non essere un filosofo ma divide le visioni del mondo in una dicotomia fra chi ( buono ) considera l’individuo come parte di un mondo di relazioni e chi ( cattivo ) lo concepisce come espressione di una autonomia esasperata; dulcis in fundo, il paragone tra la volontà di non più soffrire di Welby e la volontà suicida del dirigente sportivo Pessotto; staccare il respiratore, dice, è come non chiamare l’ambulanza per un suicida.
Cappato pacatamente contesta i paralleli del dottor Guizzetti, nella pervicace ricerca di un terreno di mediazione per una normativa condivisa, cosa che a mio modesto avviso sarà dura da realizzare.
Potevamo forse farci mancare l’anziano professore di diritto che estende il parallelo tra eutanasia e aborto agli esperimenti nazisti e la signora che dal fondo della sala urla : “Assassini, assassini!”?; no, infatti li abbiamo avuti entrambi.