17 aprile 2007

à la mort subite


ALLA MORTE ISTANTANEA
per una morte senza pena e contro la pena di morte.
di Claudia Sterzi

Alla morte istantanea (o improvvisa, lo so, ma mi piace più istantanea, come le foto e come il caffé :) è il nome, in francese, à la mort subite, di un simpatico locale di Brussels dove ho trascorso, insieme a quattro compagni radicali, due donne ascolane e due uomini torinesi, una sera di mezzo inverno.
Negli stessi giorni la battaglia per il diritto ad una morte senza pena, per Welby e per tutti, era nel suo pieno svolgimento; eravamo a Bruxelles per assistere alla riunione del Consiglio Generale del PRT, Partito Radicale Transnazionale, tappa formalmente necessaria per poter convocare un congresso e dare il via alla deibernazione del Partito; oltre che per sostenere l'appello mondiale di Marco Pannella per la pace, con l'ingresso di Israele e Turchia nell'Unione Europea ( a questo proposito, ho sentito a Radio Radicale il nostro ministro agli esteri prefigurare un ingresso di Israele, Palestina e Giordania; così, mi sembra, si dice tanto, ma si rischia, poi, di fare poco ).
Il pomeriggio era passato nell'ascolto di una serie incommensurabile di orrori raccontati da popoli che ancora oggi sopravvivono oppressi da feroci dittature, quali i vietnamiti, i ceceni, gli uiguri, i montagnards e tutta la teoria di coloro ai quali non solo è negato il diritto ad una morte senza pena, ma anche imposta la pena di morte e di tortura a volte senza alcun motivo, a volte con motivazioni come quella di aver scritto su uno striscione "libertà e democrazia".
Per queste ragioni il nome del locale ci ha subito attratto; del resto, era pieno.
Nell' appello si dice che dove c'è più democrazia, giustizia e libertà, ci sono meno guerre; si potrebbe obiettare che i paesi democratici le guerre non le fanno più a casa loro, ma le vanno a fare in trasferta; è più vero che non c'è pace senza giustizia, anche se la giustizia si fa interpretare non sempre con certezza. Resta la libertà, altro concetto discusso per via dei limiti che ogni libertà individuale incontra quando si misura con la libertà di tutti.
Ma da qualche parte bisogna pur cominciare; la moratoria per sospendere le esecuzioni capitali in tutto il mondo è un ottimo punto di partenza per riaffermare il diritto fondamentale di ogni uomo a poter disporre della propria persona. Se veramente si è convinti che decidere della propria morte non appartenga all'uomo, come pontifica il pontefice, sarebbe un peccato anche farsi operare di appendicite, e tutti i medici sarebbero una compagine di senza dio.
E se veramente è così peccaminoso decidere della propria morte, quanto ancor più lo è decidere della morte degli altri, per quanto abbiano peccato? Eppure lo Stato del Vaticano ha abolito la pena di morte solamente nel 1967, e bisogna arrivare al 2001 per vederla cancellata dalla Legge Fondamentale, equivalente vaticano alla Costituzione; del resto abbiamo tutti visto domenica scorsa quanto entusiasmo Ratzinger non ha dimostrato per la marcia contro la pena di morte.
In fondo che cosa è la guerra se non la condanna a morte di una nazione su un' altra?
La proibizione dell' omicidio è una delle poche eccezioni ammissibili alla politica antiproibizionista, almeno fino a che saremo in grado di non sgozzare il vicino di casa perchè fa un runore fastidioso quando cammina. Ma se l'omicidio deve essere proibito, che sia proibito a tutti.
La morte di per sè non può essere nè un diritto nè tantomeno un dovere; della mia morte vorrei poter disporre io, non lo Stato, un medico, un giudice o un prete. Se poi qualcuno, impaurito dalla vecchia con la falce, si vorrà e potrà affidare al buon dio o alle cure della clinica San X, o da lei attratto, si vorrà e potrà buttare in Arno, è anche questo un suo diritto; ma la scelta di che morte morire, almeno quella, sia resa agli uomini.

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