perchè negarsi un tuffo nel passato, nel 2002, al tempo dei fatti?
due articoli dal vecchio caro disobbedisco
EDITORIALE
La disubbidienza civile del 7.6.2002, in Piazza del Campo a Siena, è stata dedicata alla canapa terapeutica e ad Ennio Boglino; con lui a tutti i malati privati del loro diritto alla libertà di terapia.
Ennio Boglino è un esempio di come la mancanza di regole certe possa essere generata dal proibizionismo, specie se applicato pervicacemente a fenomeni sociali così estesi da essere di massa.
Il fatto che non sia regolamentata razionalmente nelle nostre "civiltà" occidentali la circolazione di erba e di fumo ( centinaia di milioni di consumatori nel mondo ) fa sì che un malato di malattia degenerativa che soffre di dolori, così forti da resistere al trattamento con morfina farmaceutica, non ha accesso nel suo paese al Marinol, farmaco contro il dolore a base di principi attivi estratti dalla canapa, venduto nelle farmacie americane, inglesi, olandesi, ma vietato in Italia; questo è il caso di Ennio Boglino, uno dei tanti radicali che ha reso politico il suo privato dando voce e corpo alla battaglie nonviolente; è il caso di milioni di malati che sono privati della libertà di accesso ad alcune terapie per motivi ideologici, clericali, o commerciali.
Il diritto alla libertà di cura e di ricerca scientifica riguarda da vicino tutti noi, così come, più in generale, il diritto ad uno stato laico che non pretenda di cercare reati là dove non ci sono vittime e di creare vittime di reati inesistenti.
Piazza del Campo, Siena, ore 16: la manifestazione con cessione gratuita di sostanza stupefacente, annunciata dai giornali cittadini anche grazie alle vibrate proteste di Lega e di A.N., inizia con un violento scroscio di pioggia breve ma intenso; a seguire una violenta contestazione di un signore, poi risultato il noto ex fantino "Spillo", che in preda ai fumi dell'alcool, droga legale, comincia ad inveire contro di noi radicali ma viene prontamente allontanato da poliziotti in borghese.
La conferenza stampa di Rita Bernardini, presidenta di radicali Italiani, e di Giulia Simi, coordinatrice radicale di Siena, è ascoltata da: qualche decina di giovani cannabinolanti, qualche tossico, 6 o 7 poliziotti della mobile e della digos in borghese, 6 o 7 giornalisti, qualche turista e passante.
Si parla di mariuana terapeutica, di antiproibizionismo, di droghe-non-droghe, di disubbidienza civile; gli ascoltatori seguono, annuiscono, chiedono il volantino, leggono i cartelli.
Poi inizia la cessione, e in Piazza del Campo si crea un piccolo tumulto; tre o quattro poliziotti si stringono in cerchio intorno a noi ( Rita Bernardini, Giulio Braccini, io che scrivo Claudia Sterzi ), che distribuiamo bustine di carta contenenti in tutto 8 grammi di erba di ottima qualità, come poi certificato dalla perizia tossicologica; gli altri si danno alla caccia dei "riceventi" ( checchè ne dicano le cronache ufficiali, abbiamo distribuito più della metà delle bustine; io, almeno, in questura non ne ho portata nemmeno una ) e, sembra, vola qualche cazzotto; ci dispiace ma noi, disubbidienti civili, non ci prendiamo alcun cazzotto e veniamo fermamente ma molto civilmente scortati in questura dove, nel termine di un'ora e mezzo, riceviamo caffè, fanta, pepsi, perquisizione, dichiarazioni di solidarietà da questore e funzionari e, per finire, regolare verbale.
I giornalisti, considerata la noia delle province, sono raggianti: finalmente a Siena è successo qualcosa! Infatti il giorno dopo il fatto è raccontato, con discreta rilevanza e chiarezza relativamente sufficiente, su Nazione, Tirreno, Giornale della toscana, Corriere di siena, Cittadino di oggi.
Saremo riusciti con ciò a dare una smossa al Consiglio regionale toscano dove la mozione sulla mariuana terapeutica ( già approvata dalle regioni lombardia e basilicata e da altri consigli provinciali e comunali ) giace da qualche settimana ?
E a fare un piccolo passo con la battaglia antiproibizionista nonviolenta? Speriamo!
Claudia Sterzisterzi@iol.it
IO FERMATO CON LA MARIJUANA TERAPEUTICA
Dal GIORNALE DELLA TOSCANA di
sabato 8 giugno 2002
Caro direttore,
ti scrivo dalla questura di Siena, dove mi trovo (sono le ore 17.00) per aver ceduto gratuitamente della marijuana a dei passanti, in piazza del Campo, insieme alla compagna Claudia Sterzi e alla Presidente di Radicali Italiani Rita Bernardini. Claudia e Rita mi redarguiscono sul fatto che si è trattato di una manifestazione per la «legalizzazione della marijuana terapeutica» (« ... e subito! »), e io concordo in pieno, per quanto non disdegni il lato ludico della faccenda. La marijuana, infatti,«migliora il tono dell'umore» (come direbbe un medico), ma soprattutto è di utilità terapeutica in casi di glaucorna, asma, anoressia psichica e terapie intensive, disintossicazione da droghe pesanti, dolori di vario genere e natura (compresi quelli terminali), sintomatologia delle malattie degenerative del sistema nervoso, epilessia e altro ancora.
Ebbene, questa sostanza, che non sarà miracolosa come può far presumere l'elenco di cui sopra, ma che comunque può lenire i dolori di milioni di malati, in Italia è probita, sic et simpliciter, senza nemmeno il banale distinguo fra chi ne fa uso a scopo ricreativo e chi invece ne ha effettivo bisogno (fermo restando che, per un liberale, nessuno può proibire nulla a un terzo nel suo stesso interesse). I cartelli che portavamo al collo, durante la disobbedienza civile, dicevano: «No al dolore, sì alla marijuana terapeutica», e la folla che ci attorniava era ricettiva. C'era un gruppo di ragazzi (palesemente in attesa della distribuzione), che annuivano gravi ai nostri discorsi sulla legalità. C'era una quantità di persone che ci guardavano come se fossimo pazzi («questi vogliono andare in galera»), o forse, tanto per citare Pasolini, come se fossimo «pazzi di libertà». C'erano, naturalmente, dei signori molto discreti e molto attenti, che hanno aspettato che finissimo di esporre le nostre idee ai convenuti per palesarsi nel loro ruolo di poliziotti in borghese. Quando abbiamo compiuto la cessione, gli agenti ci hanno fermato e ci hanno condotto in questura. L'applauso della folla, mentre venivamo civilmente tradotti verso le macchine della polizia, è stata la soddisfazione più grande.
Ma perché siamo stati così matti da farci arrestare? Perché abbiamo deciso di portare scompiglio nella sonnolente Siena in cui (ci dice un giornalista) «non succede mai nulla»? Prima di tutto bisogna ricordare che questa non è la prima disobbedienza civile per la legalizzazione delle droghe leggere organizzata dai radicali. Senza mettersi a riproporre tutta la pappardella sulla «continuità radicale» in questo campo (dal '76 in poi), vorrei solo ricordare che negli ultimi giorni atti di questo tipo ne abbiamo compiuti a Roma e in Basilicata. A Roma siamo stati costretti a denunciare la questura locale per omissione di atti d'ufficio: nonostante li avessimo avvertiti, nessun agente si è presentato sul luogo del delitto. Il fatto è che amiamo tanto la legalità da disobbedirle quando è il caso, pretendendo in ogni caso il suo rispetto da parte delle forze dell'ordine. Perché le squadre mobili di tutta Italia son costrette a perdersi dietro a ragazzini che si fanno le canne (e la marijuana non ha mai, dico mai, ucciso nessuno) piuttosto che perseguire reati più seri. Perché vogliamo discutere nella sede competente, l'aula di un tribunale, della costituzionalità (o meno) di una legge proibizionista peraltro impossibile da far rispettare. Una cosa a cui tengo moltissimo: noi non agiamo come certi sedicenti «disobbedienti», quale il famìgerato Casarini, che prima infrangono la legge e poi piagnucolano di essere stati inquisiti. Noi pretendiamo che la legalità segua il suo corso, vogliamo cambiarla dall'intemo e in modo nonviolento. In questo momento io, Claudia e Rita, stiamo aspettando che i laboratori della locale polizia accertino che quel che abbiamo distribuito era davvero marijuana. Quando verremo rilasciati, ci batteremo perché il processo abbia luogo, sperando che stavolta ne venga fuori un verdetto minimamente coerente: nei casi precedenti, infatti, siamo stati a volte assolti «per l'alto valore morale dell'atto», altre condannati, per lo stesso identico reato; il tutto alla faccia della certezza del diritto. Intanto, gli stessi agenti che ci hanno portato qua in questura ci esprimono solidarietà, in alcuni casi ci dànno ragione al cento per cento. «Vi abbiamo fermato perché è nostro dovere far rispettare la legge». E uno di loro ci racconta di come suo padre sia morto di cancro, fra atroci sofferenze, senza poter lenire il dolore con farmaci insensatamente proibiti. Mentre lo stesso questore, Salvatore Festa, ci viene a trovare un attimo e saluta le signore con perfetto baciamano. Un grazie a loro, a quanti vorranno unirsi a noi (e a loro) in questa lotta per la legalità, e a lei, caro direttore, per l'attenzione.
Giulio Braccini
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