in onore alle donne giraffa birmane e
TESI IN SOCIOLOGIA DEI PROCESSI CULTURALI:
MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI:
UNA QUESTIONE DI GENERE CULTURALE
BREVE SINTESI DEL LAVORO SVOLTOIl mio interesse sociologico per le mutilazioni genitali femminili è nato due anni fa, durante la partecipazione alla Conferenza “STOPFGM”, svoltasi presso il Parlamento Europeo, a Bruxelles, a causa di quelli che mi sono sembrati dati, seppure stimati, stupefacenti, cioè 140 milioni di donne, ragazze e bambine mutilate nel mondo, e ancora di più 40.000 presenti in Italia, appartenenti a comunità immigrate.
L’orientamento teorico sull’argomento ha compreso la collocazione del fenomeno nello spazio storico e geografico attraverso la letteratura esistente sull’argomento, etnografica, medica, antropologica, sociologica e letteraria; in seguito il mio interesse si è focalizzato sulla percezione, il punto di vista dei cittadini e delle istituzioni dei paesi di accoglienza, su come il mondo “occidentale” ha reagito all’arrivo di migliaia di donne e bambine mutilate nelle nostre case, nelle nostre scuole, nelle nostre società dove i diritti delle donne e delle bambine sembrano acquisiti e dati per certi.
L’analisi della letteratura istituzionale e scientifica, delle rassegne stampa riguardanti alcuni avvenimenti come “ il caso delle gemelline di Bergamo ” e “ la proposta choc del dottor Abdulkadir ”, ha evidenziato come dato emergente una contrapposizione quasi feroce tra due distinti atteggiamenti, da una parte quello assolutista, con radici nell’Illuminismo, che liquida la prassi definendola barbara, con proposte e azioni di tipo di repressivo e proibizionista, dall’altra quello relativista, di eco Nichilista, che in favore al rispetto per le altre culture e alla paura dei conflitti sembra dimenticare quanto il diritto all’integrità fisica dei minori e i diritti civili, riproduttivi, sociali e sessuali delle donne siano valori fondanti delle nostre stesse società e culture.
L’integralismo e l’emotività espressi in entrambi gli atteggiamenti sembrano denunciare un dato sommerso di resistenza e rimozione collettiva, un rifiuto dell’approfondimento che è indice di un coinvolgimento emotivo e della mancanza del distacco necessario per una valutazione dei problemi e degli effetti secondari delle soluzioni, per una azione orientata alla massimizzazione dei benefici sociali ottenibili.
In effetti nella ricerca bibliografica sono emersi temi paralleli che risuonano in accordo con i molteplici aspetti e livelli di lettura delle mutilazioni genitali femminili, temi tipici anche delle nostre società, nel presente o in un passato non tanto remoto, per esempio il tatuaggio e il piercing, il sistema della schiavitù, la violentizzazione, i reati di obbedienza, il mito e i riti della verginità femminile, la violazione sistematica dei diritti delle donne e delle bambine, la chirurgia estetica, il delitto d'onore, l'estinzione attraverso il matrimonio del reato di violenza sessuale, lo stesso reato considerato un reato contro la morale ma non contro la persona, l’incesto, “naturalmente” del padre sulla figlia, configurabile come reato solo qualora desse luogo a pubblico scandalo e altri.
Le ragioni della resistenza, del diniego opposto a questo tema sembrano individuabili nelle difficoltà del riconoscimento; riconoscersi in modalità così brutali di dominio maschile, in metodi così scoperti di repressione della sessualità femminile e di controllo della riproduzione vorrebbe dire assumere la consapevolezza delle nostre radici, in una “archeologia dell’inconscio”, come la chiama Bourdieu, che ci costringerebbe a riconoscere quanto e quanto a lungo lo stato dei diritti delle donne e delle bambine è stato simile nella nostra storia sociale.
Esistono violazioni continue e gravissime dei diritti di uomini, donne e bambini, popoli in generale, nel mondo; la definizione di tali diritti è relativa ed in continuo mutamento; inoltre esiste nel mondo una invariante questione del “dominio maschile”, in modalità diverse a Kabul o a New York, certamente, ma come effettiva e universale visione condivisa da dominanti e dominati nei fatti quotidiani al di là delle dichiarazioni di intenti e di principi, come necessaria ed urgente, quanto arbitraria, visione e divisione della realtà.
Il mio lavoro non pretende di essere esaustivo su un argomento così vasto; all’inizio non pensavo che la questione del genere fosse centrale nelle MGF, pensavo più ai diritti dei minori, ma da ogni punto di vista il problema del dominio di genere è emerso come principale variabile certa, il dominio di genere per il controllo della riproduzione, fisica e sociale; la mia intenzione è stata quella di studiare i meccanismi di una resistenza collettiva a una realtà che ci riguarda da vicino come paesi ospitanti, cittadini, esseri umani.
Nell’ultimo paragrafo è accennato un progetto di azione sociale a livello locale per affrontare, senza cadere nel pregiudizio o nell’ indifferenza, il problema dell’integrazione delle donne mutilate, e delle loro figlie, nelle nostre società, correggendo i difetti di comunicazione, come antidoto preventivo alla violenza, e di azione, che le due posizioni contrapposte, l'etnocentrica e la multietnica, comportano, mantenendo fermo, per quanto mi riguarda, l'obiettivo politico di lungo termine, cioè l'eliminazione in tutto il mondo di una piaga, poichè letteralmente di una piaga si tratta, che affligge milioni di donne, attraverso un avanzamento complessivo dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne e degli uomini.
L’orientamento teorico sull’argomento ha compreso la collocazione del fenomeno nello spazio storico e geografico attraverso la letteratura esistente sull’argomento, etnografica, medica, antropologica, sociologica e letteraria; in seguito il mio interesse si è focalizzato sulla percezione, il punto di vista dei cittadini e delle istituzioni dei paesi di accoglienza, su come il mondo “occidentale” ha reagito all’arrivo di migliaia di donne e bambine mutilate nelle nostre case, nelle nostre scuole, nelle nostre società dove i diritti delle donne e delle bambine sembrano acquisiti e dati per certi.
L’analisi della letteratura istituzionale e scientifica, delle rassegne stampa riguardanti alcuni avvenimenti come “ il caso delle gemelline di Bergamo ” e “ la proposta choc del dottor Abdulkadir ”, ha evidenziato come dato emergente una contrapposizione quasi feroce tra due distinti atteggiamenti, da una parte quello assolutista, con radici nell’Illuminismo, che liquida la prassi definendola barbara, con proposte e azioni di tipo di repressivo e proibizionista, dall’altra quello relativista, di eco Nichilista, che in favore al rispetto per le altre culture e alla paura dei conflitti sembra dimenticare quanto il diritto all’integrità fisica dei minori e i diritti civili, riproduttivi, sociali e sessuali delle donne siano valori fondanti delle nostre stesse società e culture.
L’integralismo e l’emotività espressi in entrambi gli atteggiamenti sembrano denunciare un dato sommerso di resistenza e rimozione collettiva, un rifiuto dell’approfondimento che è indice di un coinvolgimento emotivo e della mancanza del distacco necessario per una valutazione dei problemi e degli effetti secondari delle soluzioni, per una azione orientata alla massimizzazione dei benefici sociali ottenibili.
In effetti nella ricerca bibliografica sono emersi temi paralleli che risuonano in accordo con i molteplici aspetti e livelli di lettura delle mutilazioni genitali femminili, temi tipici anche delle nostre società, nel presente o in un passato non tanto remoto, per esempio il tatuaggio e il piercing, il sistema della schiavitù, la violentizzazione, i reati di obbedienza, il mito e i riti della verginità femminile, la violazione sistematica dei diritti delle donne e delle bambine, la chirurgia estetica, il delitto d'onore, l'estinzione attraverso il matrimonio del reato di violenza sessuale, lo stesso reato considerato un reato contro la morale ma non contro la persona, l’incesto, “naturalmente” del padre sulla figlia, configurabile come reato solo qualora desse luogo a pubblico scandalo e altri.
Le ragioni della resistenza, del diniego opposto a questo tema sembrano individuabili nelle difficoltà del riconoscimento; riconoscersi in modalità così brutali di dominio maschile, in metodi così scoperti di repressione della sessualità femminile e di controllo della riproduzione vorrebbe dire assumere la consapevolezza delle nostre radici, in una “archeologia dell’inconscio”, come la chiama Bourdieu, che ci costringerebbe a riconoscere quanto e quanto a lungo lo stato dei diritti delle donne e delle bambine è stato simile nella nostra storia sociale.
Esistono violazioni continue e gravissime dei diritti di uomini, donne e bambini, popoli in generale, nel mondo; la definizione di tali diritti è relativa ed in continuo mutamento; inoltre esiste nel mondo una invariante questione del “dominio maschile”, in modalità diverse a Kabul o a New York, certamente, ma come effettiva e universale visione condivisa da dominanti e dominati nei fatti quotidiani al di là delle dichiarazioni di intenti e di principi, come necessaria ed urgente, quanto arbitraria, visione e divisione della realtà.
Il mio lavoro non pretende di essere esaustivo su un argomento così vasto; all’inizio non pensavo che la questione del genere fosse centrale nelle MGF, pensavo più ai diritti dei minori, ma da ogni punto di vista il problema del dominio di genere è emerso come principale variabile certa, il dominio di genere per il controllo della riproduzione, fisica e sociale; la mia intenzione è stata quella di studiare i meccanismi di una resistenza collettiva a una realtà che ci riguarda da vicino come paesi ospitanti, cittadini, esseri umani.
Nell’ultimo paragrafo è accennato un progetto di azione sociale a livello locale per affrontare, senza cadere nel pregiudizio o nell’ indifferenza, il problema dell’integrazione delle donne mutilate, e delle loro figlie, nelle nostre società, correggendo i difetti di comunicazione, come antidoto preventivo alla violenza, e di azione, che le due posizioni contrapposte, l'etnocentrica e la multietnica, comportano, mantenendo fermo, per quanto mi riguarda, l'obiettivo politico di lungo termine, cioè l'eliminazione in tutto il mondo di una piaga, poichè letteralmente di una piaga si tratta, che affligge milioni di donne, attraverso un avanzamento complessivo dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne e degli uomini.
2 commenti:
complimenti per il blog e per l'argomento della tua tesi.
Spesso mi sono trovata a parlare di questo argomento in Kenya dove ho vissuto per 4 anni. Confesso che molte volte mi sono sentita bloccata a parlarne perche' spesso accusata di giudicare una cultura diversa dalla mia. Poi pero' ho incontrato molte NGOs keniane, alcune di sole donne keniane, che lottano contro un muro culturale per poter far scegliere alla donna se fare la mutilazione oppure no, condannando le imposizioni fatte alle bambine.
Sono veramente encomiabili a mio avviso
certo, il punto di partenza sono i diritti dei minori all'integrità fisica; su questo possiamo trovarci tutti d'accordo. in africa sono stati fatti interessanti esperimenti di conversione sociale ( dalla mutilazione al rito simbolico )
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